Ritmo

Un inevitabile accadimento legato alla nascita di un figlio è un totale ribaltamento della concezione del tempo.

Se prima la vita era un solido quattro quarti (più o meno a tempo), poi passa rapidamente alla varietà delle ritmiche del jazz. Salti anticipi, attese, pause, accelerazioni, pause, controtempi, divagazioni, improvvisazioni, pause. Quando la tua testa è formata allo stile ritmico di Neil Young, arriva un figlio e ti porta nel turbine di Jaco Pastorius.

Le notti diventano giorni, il tempo della veglia e del sonno si fondono, i pisolini rubati di 7 minuti sembrano 8 ore (e poi ti svegli ed erano 7 minuti). Una volta cresciuti ti devi abituare alle loro lentezze quando devi essere rapido e alle loro imprevedibili accelerazioni appena ti distrai o quando puoi rallentare.

Li perdi mentre leggi il prezzo della salsa di pomodoro al Carrefour, attendi 8 minuti che si allaccino le scarpe mentre sei già all’uscio carico di roba, li vedi partire a razzo sulla collinetta e morire di fatica ai primi 100 metri di camminata, stare 20 metri avanti o 20 metri indietro, ma mai accanto. Ogni legame con un tempo regolare scappa via e inizi a comprendere i sette ottavi di Battiato e il tempo che si curva di Einstein.

Il ritmo jazz di un figlio è sorprendente: proponi 3 giorni al mare ma lui ti chiede il tempo, il tempo per arrivarci, e sono 2 ore e mezza, e “possiamo intanto giocare a pazzopoli* ?”. E poi giochi a pazzopoli e poi finisce che ti fermi al primo lago, fai 12 ore di tuffi ininterrotti con un principio di paresi tronco-cervicale (perché usa le tue spalle come trampolino) e poi torni a casa che ormai al mare non si riesce ad andare e lui ti dice “è stata la giornata più divertente della mia vita” e un lago rischi di farlo anche con i tuoi occhi ma lui ti richiama alla realtà chiedendoti di mettere “Cecil di Clementino”. Conoscendo tuo figlio sai che non chiede il trapper ma probabilmente Clementine Benjamin, e forse Cecil è Churchill (Winston Churchill’s boy), e, santo Pastorius, questo figlio mi chiede di mettere Benjamin Clementine e quando parte la canzone dice “sì questa” e la chiede tre volte ancora, perché è bella e gli piace che cambi ritmo…

E così questa continua invenzione del tempo accade più o meno ogni giorno, perché quando riesci da genitore single rock a percepire ed entrare nel loro tempo jazz lasci che sia e va bene così.

Un uomo saggio diceva “non è tanto importante la quantità ma la qualità del tempo che si passa con loro”: aveva ragione (anche se pure la quantità è importante). Però, per superare la difficoltà di connettersi a quello strano tempo jazz, per capire qualità e valore del nuovo tempo, serve tempo.

Ma poi finisce che pure tu inizi ad essere jazz. E non è così male…

*versione “alternativa” e home made del più noto gioco dell’oca

Credito Photo: Smial, opera propria, licenza FAL.